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Corte d'Appello di Bologna > Rapporto di agenzia
Data: 31/01/2005
Giudice: Schiavone
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 517/04
Parti: Angelo D. / Engines Engineering S.p.A-
RAPPORTO DI AGENZIA - INDENNITA’ DI FINE RAPPORTO – CREDITI PROVVIGIONALI – RISARCIMENTO DANNI


Un agente di commercio rivendicava il diritto alla corresponsione delle indennità di fine rapporto (in particolare delle cosiddette indennità meritocratiche riconosciute all’agente che ha apportato un notevole sviluppo degli affari) sulla base dei criteri di calcolo previsti dall’art. 1751 del cod. civ. e non sulla base dell’A.E.C., in forza del principio del divieto di deroga in peius stabilito dalla norma codicistica al penulimo comma. Le ulteriori domande riguadavano il pagamento di provvigioni dovute per affari conclusi dalla casa madre per forniture alla grande distribuzione con sede legale nella zona dell’agente, ma destinata a magazzini situati in zone assegnate ad altri agenti. L’agente rivendicava, inoltre, il pagamento delle differenze provvigionali per le variazione delle aliquote disposte unilateralmente dalla preponente. Il ricorso proposto in primo grado veniva respinto e, conseguentemente, l’agente proponeva appello, che veniva respinto confermando la decisione di primo grado. La decisione della Corte di Appello di Bologna si fonda sulle seguenti motivazioni. Riguardo l’applicazione dell’art. 1751 cod. civ. la Corte di Appello effettua una ricostruzione del sistema precedentemente previsto dall’art. 1751 cod. civ. (modificato prima dall’art. 4 d.lgs. 10.9.1991 n. 303 e poi dall’art. 5 del d.lgs. 15.2.1999 n. 65). evidenziando che la precedente fomulazione della norma prevedeva l’erogazione di una indennità in tutti i casi di scioglimento di contratto di agenzia a tempo indeterminato, che, quanto alla misura, veniva rigidamente proporzionata alle provvigioni percepite dall’agente nel corso del rapporto ; per la determinazione dell’indennità, il citato art. 1751 rinviava agli accordi economici collettivi. Il nuovo testo dell’art. 1751 cod. civ., secondo la Corte, ha invece sottoposto il diritto all’indennità a precise condizioni (previste in via aternativa dal decereto legislativo del 1991 ed in via cumulativa dal decerto legislativo del 1999): che l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponenente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti. A parere della Corte di Appello la disposizione normativa non fissa né la misura, né la commisurazione dell’indennità di scioglimento del contratto, ma si limita a fissare un tetto massimo dell’indennità – pari alla media provvigionale degli ultimi cinque anni. Pertanto, si afferma, il divieto in deroga in peius previsto dall’ultimo comma dell’art. 1751, mentre varrebbe sicuramente a rendere illegittimo qualunque accordo collettivo o individuale con il quale si richiedessero ulteriori condizioni per integrare il diritto all’indennità di scioglimento, viceversa rispetto alla determinazione del quantum, la deroga da parte della contrattazione non è neppure teoricamente prospettabile, dovendo essere esclusa in radice per mancanza della norma da derogare, considerato appunto che la disposizione di legge non detta alcun criterio. In buona sostanza la Corte di Appello – richiamando la sentenza della Corte di Cassazione n. 11791/02 (a cui si contrappone la Cass. N. 11189/02) – afferma che l’art. 1751 cod. civ. determina le « condizioni » e non « i criteri per calcolarla » e la media provvigionale degli ultimi cinque anni costituisce solo un tetto massimo. In tal modo i Giudici ritengono che « il legislatore abbia inteso rimettere alla contrattazione collettiva o individuale, la determinazione dell’indennità, com’era peraltro secondo la disciplina precedente. Non può allora considerarsi derogatorio in peius un sistema di determinazione dell’indennità, come quello di cui all’accordo collettivo in oggetto, che impedisse in ogni caso il raggiungimento del massimo ……in quanto quel massimo è solo previsto astrattamente, perché non vengono indicati né criteri né condizioni per il suo conseguimento e vale come mero limite rispetto al criterio da definire, che vengono rimessi all’autonomia collettiva ». Sul punto è opportuno evidenziare che la materia è oggetto da tempo di un corposo dibattito dottrinale, ciò in ragione anche delle contrastanti pronuncie giurisprudenziali. In particolare parte della dottrina ha sottolinato che gli attuali A.E.C. (stipulati nell’anno 2002), non tengono conto della direttiva comunitaria che ha modificato l’art. 1751 cod. civ. (avvenuto peraltro a seguito di condanna dello Stato Italiano per inadempienza) e pertanto sono stati stipulati sulla base della vecchia formulazione della norma. Certemente il dibattito potrà trovare una definitiva soluzione in quanto recentemente la Corte di Cassazione (ord. 18.10.04 n. 20410) ha rinviato la questione alla Corte di Giustizia Europea per avere un chiarimento intepretativo alla luce delle finalità dell'art. 17 e dell’art. 19 della Direttiva CEE n. 86/653. Riguardo il diritto dell’agente alle differenze provvigionali dovute in ragione dell’unilaterale variazione della proponente, la Corte d’Appello liquida la questione in poche righe. Si afferma, infatti, che non sussiste alcuna norma che preveda la forma scritta per la variazione delle aliquote provvigionali ed ad ogni buon conto la variazione deve essere ritenuta valida ai sensi dell’art. 1327 cod. civ., in quanto l’agente ne ha dato esecuzione e ha contestato la variazione solo in giudizio, ossia ben tre anni dopo l’introduzione del nuovo regime provvigionale. La Corte, come già detto, respinge anche il motivo di appello inerente il mancato riconoscimento del diritto alle provvigioni per gli affari conclusi dalla preponente con società aventi sede presso la zona dell’agente, ma riguardanti forniture presso magazzini fuori dalla sua competenza. Sul punto è opportuno sottolineare che la decisione è stata presa applicando il vecchio testo dell’art. 1748 cod. civ. – che si applicava sino alla cessazione del rapporto – che prevedeva il diritto alle provvigioni per gli affari conclusi dalla preponente che devono avere esecuzione presso la zona dell’agente salvo che sia diversamente pattuito. Proprio la mancanza di un diverso accordo ha portato i Giudici d’Appello a ritenere che non sussisteva il diritto dell’appellante. Ad onor del vero diversa sarebbe stata la conclusione se si fosse applicata la nuova formulazione dell’art. 1748 cod. civ. che prevede il diritto alle provvigioni « anche per gli affari conclusi dal preponente con terzi (…) appartenti alla zona riservata all’agente » : è chiaro infatti che attualmente la norma assume come parametro la sede del cliente e non il luogo dell’esecuzione del contratto